Secondo un recente studio di Confartigianato,
l’Italia presenta una elevata dipendenza energetica e i processi di crescita sono condizionati dalla pressione dei costi delle commodities energetiche importate. Una analisi condotta nell’ultima
Nota di aggiornamento al DEF 2019 indica che livelli del prezzo del greggio superiori di 20 dollari
rispetto a quelli ipotizzati nel quadro tendenziale – pari 57,3 dollari al barile nel 2020, e 56,2 dollari nel 2021 – costituirebbero un freno alla crescita: -0,4 punti di PIL nel 2020 e 0,5 punti in meno nel 2021.
Un segnale positivo proviene dall’analisi dei flussi di
commercio estero dell’Energia che negli ultimi dodici mesi a settembre 2019 cumula un saldo negativo di 41.373 milioni di euro, con un miglioramento di 1.522 milioni rispetto al picco rilevato a maggio; il saldo è la risultante di 13.779 milioni di euro di esportazioni energetiche e 55.152 milioni di importazioni. Il 96,8% dell’export si concentra nei prodotti della raffinazione del petrolio mentre le importazioni sono composte per il 48,6% da petrolio greggio, per il 27,8% da gas naturale, per il 17,1% da prodotti della raffinazione del petrolio, per il 4,1% da energia elettrica e per il rimanente 2,3% da carbone.
Nei primi nove mesi del 2019
la bolletta energetica migliora dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una riduzione delle esportazioni del 13% mentre le importazioni diminuiscono del 4,5%; il calo dell’import è determinato una contemporanea diminuzione dei prezzi (-3,4% per i valori medi unitari) e delle quantità importate (-1,2% per i volumi importati).
Gli
acquisti dall’estero di petrolio greggio e gas naturale valgono, su base annua, 42.176 milioni di euro e nel 2019 provengono prevalentemente da Medio oriente (31,1%), Africa (28,1%) e Paesi europei extra UE (26,4%); seguono, con quote più contenute, l’Unione europea (5,7%), l’Asia centrale (4,9%) e l’America (3,8%). Il peso dell’import dai Paesi Opec è del 42,9%.
Nel corso dell’ultimo anno, caratterizzato dagli effetti delle sanzioni nei confronti dell’Iran, si sono registrati significativi cambiamenti nelle quote relative ai singoli paesi che ridisegnano il
profilo delle partnership energetiche dell’Italia. Il primo fornitore di energia rimane la
Russia con il 23,7% dell’import totale di petrolio greggio e gas naturale, anche se la quota si riduce di 1,5 punti nel corso dell’ultimo anno. Nel dettaglio la Federazione russa è il primo fornitore di gas naturale e il terzo fornitore di petrolio greggio. Al secondo posto nella graduatoria dei fornitori energetici sale l’
Iraq con il 12,6% del totale, +4,8 punti in più rispetto al 2018 quanto era il nostro quinto partner; l’Iraq è il primo fornitore di petrolio greggio. Al terzo posto troviamo l’
Azerbaigian con il 10,6%, in calo di 1,5 punti rispetto al 2018 quando la repubblica azera era il nostro secondo fornitore. Al quarto posto si consolida la
Libia con il 10,2%, quota in riduzione di 1,6 punti; il paese nordafricano è al quarto posto sia nelle forniture di petrolio greggio che in quelle di gas naturale. Seguono
Algeria con 8,9% – è il secondo partner per il gas e l’undicesimo per il petrolio greggio e
Arabia Saudita con 5,0%: questi ultimi due partner hanno perso quote significative, rispettivamente pari a 1,6 e 2,3 punti. Al contrario risalgono il ranking di due posizioni il
Kazakhstan, che arriva al settimo posto con il 4,7%, in aumento di 2,1 punti, e la
Nigeria che sale all’ottavo posto con il 4,4%, con un aumento di 1,8 punti. Il
Qatar rimane al nono posto con il 2,9%, seguito dai
Paesi Bassi con il 2,3%, in aumento di 1,6 punti.Tra gli altri paesi registriamo aumenti di quota superiori al punto percentuale per
Norvegia (+1,6 punti) e
Germania (+1,3 punti) mentre si azzera la quota dell’
Iran che, nei primi otto mesi del 2018, deteneva il 7,3% dell’import di commodities energetiche.
Su base continentale acquistano peso l’Unione europea (+4,5 punti), l’Asia centrale (+2,3 punti) e l’Africa (+1,7 punti) mentre l’uscita dell’Iran dal portafoglio dei fornitori fa scendere di 8 punti la quota relativa al Medio oriente, a cui si associa la flessione di 7,9 punti della quota di Paesi Opec.
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