I
consumi dei data center sono altissimi, e lo sono altrettanto le emissioni di CO2 che generano. Nella
Giornata della Terra si parla molto delle
tecnologie per ridurre l'impatto energetico dei datacenter. Non ultima
quella di Google. Tuttavia, senza chiamare in causa investimenti e nuove tecnologie, ci sono accorgimenti che potrebbero calmierare il problema. Per esempio, la
cancellazione dei "dark data", o dati oscuri.
Che cosa sono? Sono dati stipati nei data center,
il cui valore non è definito. Quasi sempre si tratta di dati inutili. Il problema è che incidono pesantemente sui consumi energetici e sulle emissioni dei data center. Chi pensa che siano una parte trascurabile del patrimonio di dati dell'umanità si sbaglia. In media,
il 52% di tutti i dati memorizzati dalle organizzazioni di tutto il mondo è “Dark”. Ossia i responsabili della loro gestione non hanno idea del loro contenuto o valore.
A mettere l'accento sulla questione è
Veritas, azienda specializzata nella protezione dei dati. Stima che quest'anno saranno rilasciate in atmosfera 5,8 milioni di tonnellate di CO2 a causa dell’archiviazione di questo tipo di dati.
Quello che le aziende attente all'ambiente dovrebbero fare è
implementare delle strategie di data management. Permetterebbero di identificare quali dati sono effettivamente preziosi e quali da cancellare. Il problema, oltre tutto, non è statico. I dark data si accumulano continuamente e gli analisti prevedono che la quantità generata a livello globale passerà da 33 zettabyte del 2018 a 175 ZB entro il 2025. Facendo qualche calcolo approssimativo, tra cinque anni i dark data potrebbero ammontare a 91 ZB.
Una parte preponderante di dati è aziendale. Il comparto che per primo dovrebbe dare il buon esempio è quello IT. Sia perché conosce bene la materia e quindi sa come intervenire. Sia perché una corposa parte di dati proviene
dall'ambito IoT, che come noto è in forte crescita. I dati archiviati nei prossimi cinque anni potrebbero essere generati proprio da questi dispositivi. Il contenimento delle emissioni passa quindi anche per la definizione di
policy per la conservazione dei dati.
Per capire come muoversi, Veritas ha definito le best practice da seguire a livello aziendale per evitare sprechi. Prima di tutto è necessario
inventariare gli archivi di dati. Occorrono procedure di data mapping e data discovery per risalire a come le informazioni fluiscono all’interno di un’organizzazione.
Una volta ottenuta visibilità è possibile sapere
dove vengono archiviati i dati e le informazioni sensibili. Chi vi ha accesso e per quanto tempo vengono conservati. L'ultimo dato è importante, perché l'obbligo di conservazione dei dati difficilmente è eterno. Giunti a questo punto, sempre con il data management si possono
individuare i dark data e decidere quali possono essere eliminati in sicurezza.
Non è finita. Per evitare di trovarsi di nuovo nella situazione attuale occorre automatizzare le procedure di individuazione e di data insight. È impensabile setacciare petabyte di dati manualmente. Per fortuna ci sono
software che svolgono il lavoro in automatico. Analizzano i dati, li monitorano, producono i report da cui si estrapolano i dati oscuri.
Questi permettono anche di attuare
controlli sui dati. Sono utili non solo per abbassare i consumi, ma anche per sapere se ciò che viene conservato è direttamente correlato allo scopo in cui è stato raccolto. Non ultimo, i controlli devono includere anche il rispetto degli standard di compliance, fra cui il GDPR.
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