"Il sequestro è il risultato di anni di politiche, soprattutto industriali, davvero irresponsabili. Esprimiamo la nostra più profonda preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare a Taranto. Agli annosi e drammatici problemi ambientali e sanitari ora si aggiunge quello occupazionale. Si è finiti in un vicolo cieco da cui si rischia di uscire con soluzioni frettolose che non risolverebbero i problemi che hanno portato a questo sequestro".
Si esprime così
Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di
Legambiente a commento della decisione di chiudere
l'impianto a caldo dell'Ilva, senza facoltà d'uso, da parte del giudice per le indagini preliminari
Patrizia Todisco, a conclusione delle indagini della Procura per disastro ambientale a carico dei vertici dell'azienda siderurgica.
"Quanto sta accadendo a Taranto - aggiungono
Francesco Tarantini e Lunetta Franco, rispettivamente presidente di Legambiente Puglia e di Legambiente Taranto - richiama alla mente il sequestro dell'impianto petrolchimico di Gela avvenuto 10 anni fa, risolto poi con un intervento normativo che, come un colpo di spugna, cancellò una serie di situazioni irrisolte lasciando che le cose rimanessero come erano prima del Decreto dell'allora ministro Altero Matteoli. Non vorremmo che accadesse la stessa cosa in Puglia".
Legambiente auspica che
il Ministero dell'ambiente proceda velocemente al rilascio della nuova Aia, che deve essere molto più rigorosa e stringente della precedente, anche per rispondere, a questo punto, alle contestazioni alla base del sequestro dell'impianto. E l'azienda deve procedere velocemente, senza ulteriori arroganti contestazioni e insopportabili predite di tempo, alla messa in pratica degli interventi per far ripartire le produzioni in modo compatibile con l'ambiente e la salute dei cittadini e dei lavoratori.
"Quello al lavoro è un diritto imprescindibile - concludono Tarantini e Franco - che non va scisso dal diritto alla salute. Entrambi devono muoversi su unico fil rouge basato sulla tutela dell'ambiente".
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