Quando si parla di inquinamento dell'acqua in genere si pensa ai pesticidi, più di recente alle
microplastiche. Non sono gli unici agenti inquinanti, anzi. I trattamenti convenzionali spesso non bastano per rimuovere
principi attivi di farmaci, cosmetici o detergenti presenti nella
rete idrica. Sono sostanze potenzialmente dannose per la salute. È su questi contaminanti organici che si sono concentrati gli scienziati del
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Un nuovo studio ha come protagonista il
grafene. L'impiego di questo materiale non è una novità, sono molte le ricerche che ne fanno uso.
In questo caso si è ottenuta una nuova tecnologia, che usa il grafene per
potenziare le membrane filtranti polimeriche. Lo studio, nell'ambito del progetto europeo
Graphene Flagship, è stato pubblicato sulla rivista
Nanoscale. Gli autori sono ricercatori dell'Istituto per la sintesi organica e fotoreattività (Cnr-Isof) e dell'Istituto per la microelettronica e microsistemi (Cnr-Imm) del CRN. Ha collaborato anche l'ateneo svedese Chalmers University.
Filtro di materiale composito ossido di grafene - polisulfoneManuela Melucci e Vincenzo Palermo di Cnr-Isof spiegano che i filtri si ottengono "combinando fogli di ossido di grafene con membrane di polisulfone e derivati (PSU)”. I test hanno dimostrato la capacità di catturare contaminanti organici, molecole costituenti principi attivi di farmaci, cosmetici o detergenti.
I campioni di test consistevano in acque contaminate con sostanze quali la rodamina, un colorante ampiamento impiegato in campo tessile e farmaceutico. L'efficacia è stata testata inoltre con l'antibiotico ofloxacina e con l'antinfiammatorio diclofenac. Entrambi sono principi attivi presenti in colliri, compresse e pomate.
Vincenzo Palermo del Cnr-Isof spiega che “queste molecole fanno parte dei cosiddetti inquinanti emergenti (farmaci, pesticidi, detergenti e fragranze varie). Sono stati individuati recentemente nelle acque potabili e oggetto di attenzione per i possibili rischi per la salute e l’ambiente. È stata richiesta la revisione della direttiva europea sull'acqua potabile, attualmente al vaglio della UE".
I test di laboratorio sulle membrane di polisulfone addizionato con ossido di grafene hanno dimostrato un'
efficacia di oltre tre volte quelle del materiale standard contenente solo polisulfone, nel filtraggio di questi composti chimici.
Il "trucco" consiste nella struttura dell’ossido di grafene, integrato in foglietti disposti a strati e separati da distanze nanometriche che gli scienziati possono controllare. Insieme formano uno strato in cui restano intrappolate le molecole contaminanti. Come spiega Manuela Melucci del Cnr-Isof, “il procedimento si svolge in acqua, senza l’uso di solventi chimici. Impiega le microonde per immobilizzare stabilmente i foglietti di grafene sul polimero".
Ingrandimento al microscopio elettronico del polisulfone ricoperto da uno strato di ossido di grafeneQuesto perché qualsiasi materiale per la depurazione delle acque non deve rilasciare contaminanti nell'acqua filtrata. "I test eseguiti inserendo il composito GO-PSU in cartucce filtranti commerciali hanno confermato la grande stabilità del nuovo materiale. Non presenta rilascio di grafene nelle acque trattate, nei limiti di rivelabilità analitici disponibili”.
Un secondo importante vantaggio è che le membrane GO-PSU possono essere recuperate dopo l’uso. Dopo essere state lavate con un solvente specifico per rimuovere i contaminanti raccolti,
si possono riutilizzare. Non ultimo, la tecnica studiata per addizionare l’ossido di grafene può essere applicata anche a scarti della produzione industriale di membrane in polisulfone. Si possono così riutilizzare residui di processo altrimenti da smaltire, abbattendo i costi.
La tecnica appena descritta è oggetto di domanda di brevetto internazionale. Le prospettive d'impiego sono ampie. Ad esempio, "sfruttando la possibilità di funzionalizzare chimicamente il grafene, si potrebbero creare membrane che filtrino solo determinati inquinanti di specifico interesse”.
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