Umberto Arcangeli, Managing Director EUROMED e Amministratore Delegato Italia, Dassault Systèmes analizza il tema del greenwashing, strategia spesso utilizzata dalle aziende per mascherare un impegno ambientale non corrispondente a verità. In particolare, il manager evidenzia il ruolo di soluzioni tecnologiche basate scientificamente in grado di supportare le strategie di sostenibilità aziendali, consentendo a tutti gli attori coinvolti di calcolare e e riferire l’impatto delle loro azioni
Redazione ImpresaGreen
La crescita sempre più rapida del cambiamento climatico rafforza la necessità di accelerare la transizione verso un mondo più sostenibile, ecologico e green. "Un processo di trasformazione delle abitudini quotidiane in azioni più sostenibili, dove il maggior livello di responsabilità riguarda indubbiamente le imprese, che causano circa il 70% dell’inquinamento mondiale", dichiara Umberto Arcangeli, Managing Director EUROMED e Amministratore Delegato Italia, Dassault Systèmes (nella foto).
Oggi disponiamo di un numero crescente di informazioni sulle abitudini sostenibili, che si riflette in un aumento dei prodotti che contribuiscono a ridurre l’impatto delle persone sull’ambiente. Arcangeli cita una ricerca condotta da Futerra che evidenzia come la maggior parte dei consumatori sia più propenso a scegliere, a parità di prezzo, marchi sostenibili; mentre circa un terzo di essi sarebbe disposto a spendere di più per prodotti sostenibili. Questa opportunità legata al crescente cambiamento delle abitudini dei consumatori verso un approccio più sostenibile è, talvolta, sfruttato dalle aziende per generare profitto in modi poco etici, generando il cosiddetto fenomeno del greenwashing.
"Spiega Arcangeli: "Il greenwashing è definito da Investopia come 'informazioni fuorvianti o del tutto false sull'impatto ambientale dei prodotti e delle operazioni di un'azienda'. Tendenzialmente, questa strategia di marketing comprende una piccola parte di verità, spesso ingigantita o dietro cui si celano aspetti dannosi per l’ambiente. Il termine è stato coniato nel 1986 a seguito della pubblicazione di un saggio da parte dell’ambientalista Jay Westerveld in cui criticava un hotel di lusso per l’affissione di manifesti volti a sensibilizzare gli ospiti sul riutilizzo degli asciugamani a favore dell’ambiente, della riduzione idrica ed elettrica. Tuttavia, si trattava di una strategia usata dal management dell’hotel per ridurre i costi di lavanderia. Un’informazione fuorviante usata per incentivare e motivare i propri ospiti alla tutela dell’ambiente, piuttosto che a contribuire alla riduzione dei costi. Westerveld coniò così il termine greenwashing per definire una situazione d’inganno mascherata da un impegno ambientale inesistente".
Sebbene questa pratica sia più che conosciuta da utenti e dalle autorità, secondo un sondaggio di Harris Pol il 58% delle aziende ammette di fare greenwashing, nonostante i rischi legali e finanziari ad esso collegati. Questo è parzialmente dovuto alla consapevolezza crescente che gli utenti ripongono nei confronti della sostenibilità quando si tratta di decisioni di acquisto, oltre ad essere collegato ad un minor costo per le aziende di investire in strategie pubblicitarie per comunicare il loro approccio alla sostenibilità piuttosto che in strumenti che gli consentano di raggiungere tale obiettivo.
Trasformare l’idea di sostenibilità in azione è una sfida che include una conoscenza diretta dell’intero ciclo di vita del prodotto: "Questo processo include necessariamente una comprensione dell’impatto delle operazioni, dei fornitori, delle attività di trasporto dei materiali e delle componenti, dei processi di imballaggio e della consegna dei prodotti ai retailer, oppure direttamente ai consumatori, fino all’utilizzo dei prodotti e al loro smaltimento a fine vita", chiarisce Arcangeli.
Sul mercato ci sono soluzioni avanzate e basate scientificamente, di cui il LCA (Life Cycle Assessment) ne è un esempio: esso consente agli utenti di valutare l’impatto dei prodotti lungo tutto il ciclo di vita; "Si tratta di soluzioni si basano su database disponibili in commercio, in grado di quantificare virtualmente l’impatto ambientale di tutte le decisioni e azioni intraprese dall’azienda. Tuttavia, il LCA è stato usato principalmente per documentare l’impatto delle azioni passate al fine di rilevare un eventuale calo e non per identificare proattivamente delle modalità per ridurlo", prosegue.
E dettaglia ulteriormente: "E' possibile associare questi database a sviluppi tecnologici che integrano i calcoli del Life Cycle Assessment nei software di progettazione, ingegneria e produzione. Queste soluzioni consentono a tutti gli attori coinvolti di calcolare e riferire l’impatto delle loro azioni, affinché possano identificare le alternative più sostenibili. Grazie alla misurazione di questi parametri, è possibile riconoscere gli aspetti che compromettono maggiormente la sostenibilità, nonché di sviluppare strategie per migliorarla".
Uno sviluppo che mostra i progressi su un gemello digitale: "un modello virtuale scientificamente accurato che consente ai manager di prodotto di impostare degli obiettivi di sostenibilità per i loro programmi di sviluppo. Inoltre, le aziende possono avvalersi dei dati concreti per dimostrare la propria idea di sostenibilità e l’affidabilità del loro impatto ambientale", afferma Arcangeli.
e conclude: "Soluzioni di questo tipo forniscono infine dei dati reali, necessari alle aziende per dimostrare i loro progressi verso un modello più sostenibile. Aspetto che consente loro di non cedere alla tentazione di incorrere del greenwashing ma, al contrario, di adottare misure fondate su basi scientifiche che le guidino verso la sostenibilità".
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