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Crypto Climate Accord per cancellare l'impronta di carbonio delle criptovalute

Un gruppo di aziende private ha proposto il Crypto Climate Accord per eliminare l'impatto climatico delle criptovalute in una manciata di anni. L'idea è valida, gli ostacoli per concretizzarla sono molti.

Redazione ImpresaGreen

Prendendo ispirazioni dall'Accordo di Parigi sul clima, un gruppo di aziende private ha annunciato la costituzione del Crypto Climate Accord, un progetto che ha l'obiettivo lodevole di cancellare l'impatto climatico delle criptovalute. Fra i fondatori figurano nomi importanti come Energy Web, Rocky Mountain Institute (RMI) e Alliance for Innovative Regulation (AIR), insieme ad oltre 20 aziende dei settori crittografico, finanziario, tecnologico, ONG, energia e altro.

L'obiettivo dichiarato è garantire, entro il 2025, che le blockchain e le operazioni di mining di valuta digitale vengano condotte esclusivamente con energia rinnovabile, raggiungano lo zero netto di emissioni entro il 2040 e sviluppando al contempo uno standard per misurare le emissioni in tutto il settore.

Il punto di partenza

Citando il sito ufficiale dell'iniziativa, "l'aumento della domanda di criptovalute e l'accelerazione dell'adozione di soluzioni basate su blockchain hanno evidenziato un problema critico: il crescente consumo energetico della tecnologia e il suo impatto sul nostro clima".
andre francois mckenzie bitcoin unsplash 2Il problema è reale e per rendersene conto basta dare un'occhiata al sito Digiconomist, che pubblica un Bitcoin Energy Consumption Index costantemente aggiornato. La rete Bitcoin, che è la criptovaluta più diffusa, a marzo 2021 ha avuto una impronta di carbonio paragonabile a quella dell'intera città di Londra. Ethereum, seconda per popolarità dopo Bitcoin, genera emissioni di carbonio annuali pari a quelle della Lituania. Calcoli analoghi condotti dalla Judge Business School dell'Università di Cambridge stimano il consumo elettrico annuale di Bitcoin in 14,37 GW.

Limitando il discorso a Bitcoin, il guaio è che fin dalla sua nascita ha una tecnica di mining volutamente inefficiente. Impiega un algoritmo proof-of-work secondo il quale le macchine che eseguono il "lavoro" consumano enormi quantità di energia. Non solo. Il problema maggiore è che la maggior parte dei miner si trova in Cina o in aree che dipendono fortemente dall'energia a carbone. Questo fa sì che l'impronta di carbonio dei Bitcoin sia altissima.

Gli obiettivi raggiungibili

I fondatori di Crypto Climate Accord sono consapevoli degli alti consumi generati dalla creazione di criptovalute. Per questo il loro obiettivo si limita a cercare di fare sì che il mining avvenga in aree dove sono disponibili per lo più o esclusivamente energie rinnovabili. Inoltre, prevede un passaggio intermedio fondamentale, ossia la creazione di un "contatore open source" per misurare costantemente le emissioni generate dal settore e verificare quanta energia rinnovabile utilizza una blockchain.

Non ci sono obiettivi preliminari analoghi a quelli dell'Accordo di Parigi, anche perché parliamo di un patto fra privati, non di un accordo fra Governi, che quindi ha presupposti ben differenti. Le chance di successo sono legate per lo più a due fattori. Il primo è il calo continuo del costo delle rinnovabili, che potrebbe essere un incentivo interessante per spingere i miner a traslocare dove queste sono disponibili. Il secondo riguarda alcuni contatti che ha avuto Jesse Morris, chief commercial officer dell'organizzazione no profit Energy Web Foundation, a capo dell'iniziativa, con persone interne all'ecosistema Bitcoin. Sembrerebbe che molti di questi interlocutori vedano di buon occhio l'idea di far diventare più green i Bitcoin, perché così facendo sarebbe più facile attirare acquirenti.
foto visa raggiunto obiettivo 100% energia elettrica fonti rinnovabili

Gli ostacoli sono molti

Purtroppo la questione non è semplice come potrebbe sembrare. Sono molte le voci critiche che si sono alzate evidenziando motivi per i quali è improbabile che gli obiettivi fissati dal Crypto Climate Accord possano anche solo tradursi in cambiamenti significativi.

Alcune criptovalute concorrenti di Bitcoin utilizzano una tecnologia blockchain diversa e consumano pochissima energia. Per loro, come per esempio l'XRP di Ripple, non sarebbe difficile adeguarsi agli obiettivi e passare alle energie rinnovabili. Il più grande ostacolo è Bitcoin, il maggiore player del settore: da solo rappresenta oltre la metà della capitalizzazione del mercato delle criptovalute. Se non si riuscirà a coinvolgere Bitcoin, il progetto avrà difficilmente successo.

Bitcoin da qualche tempo è in forte competizione con una concorrenza sempre più numerosa e agguerrita. Se ci fosse solo il dubbio che un passaggio alle rinnovabili rischierebbe di fargli perdere terreno, qualsiasi proposito ambientalista potrebbe andare in fumo.

Buoni propositi a parte, c'è anche un problema tecnico di risorse. Traslocare la produzione di criptovalute in aree coperte dalle energie rinnovabili creerebbe un picco di richiesta energetica che obbligherebbe le utility locali a rifornirsi da fonti a combustibile fossile per far fronte all'impennata della domanda. In sostanza, si sposterebbe solo il problema da una regione all'altra, annullando qualsiasi beneficio sul clima.

Conclusioni

L'idea è buona, perché l'incremento costante della domanda di criptovalute sta affettivamente generando un problema ambientale rilevante. Convincere tutto questo mercato estremamente frammentato e lucrativo a salire a bordo del carro ambientalista però sarà un compito titanico. Anche perché, come ammette lo stesso Morrison, i piani iniziali esprimono grandi aspirazioni ma sono poveri di dettagli. Certo, tirare troppo la corda potrebbe fare da deterrente, ma limitarsi all'ideologia difficilmente potrebbe portare a incassare un risultato concreto come raggiungere lo zero netto di emissioni entro il 2040.

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Pubblicato il: 18/06/2021