Ormai è abbastanza normale sentir parlare di
raffreddamento a liquido quando si tratta di computing. Anche un semplice gamer un po' accanito sa installare un sistema di raffreddamento a liquido per il suo PC. E il concetto è abbastanza diffuso anche in ambito server. Con
una progettazione mirata ed attenta, perché i liquidi spesso non vanno d'accordo con l'elettronica e non è mai banale garantire allo stesso tempo una elevata capacità di raffreddamento, la corretta separazione tra liquidi e conduttori, un
consumo di energia accettabile per
tutto il sistema composto da computing e raffreddamento.
Anche per questo, già da tempo si studiano sistemi per il
raffreddamento dei server direttamente per immersione in un liquido progettato ad hoc. È un ambito il cui sviluppo ha ricevuto una spinta importante dalla diffusione del cryptomining: una delle forme di computing più "energivora" del momento, per la quale qualsiasi miglioramento anche marginale nella resa dei sistemi di raffreddamento è benvenuto. Una GPU per le applicazioni di cryptomining - ma lo stesso vale per
applicazioni più business-oriented, come l'AI - può raggiungere i 700 watt di potenza, con una conseguente elevata necessità di dissipazione termica.
L'idea è andare
oltre la classica tecnologia "cold plate" o "direct-to-chip", in cui i liquidi di raffreddamento restano confinati in condotti e piastre metalliche che vanno poi in contatto diretto con l'elettronica. Soprattutto con i processori dedicati al calcolo. Il raffreddamento ad immersione
è molto più efficiente ed è, concettualmente, analogo al raffreddamento classico. Anche l'aria in fondo è un fluido che, mantenuto a basse temperature, quando entra in contatto con i chip surriscaldati contribuisce a raffreddarli. Usare un fluido più denso, quindi a maggior ragione un liquido, porta una maggiore efficienza nello "spostamento" del calore.
Nel suo data center di Quincy, in Massachussets,
Microsoft ha
attivato quella che molto probabilmente è l'installazione al momento più avanzata di un rack raffreddato ad immersione. Non si tratta di un progetto sperimentale ma, di fatto, di un
micro data center che opera direttamente in produzione, per la gestione di alcuni workload di Azure. È un sistema particolarmente innovativo, in cui alcuni blade server sono inseriti in un serbatoio controllato ed immersi costantemente in un liquido ideato da 3M.
Il liquido in questione è simile all'acqua, ma solo apparentemente. In effetti è una sostanza dielettrica che può entrare in contatto con l'elettronica senza problemi di cortocircuiti, proprio perché non è conduttrice. Più tecnicamente, il liquido in cui sono immersi i server è
un fluorocarburo con un basso punto di ebollizione (circa 50 gradi centigradi). Il liquido entra in contatto con i chip in funzione, che lo riscaldano facilmente sino al punto di ebollizione. Le bolle che così si formano a contatto con i processori e con il resto dell'elettronica vanno verso l'alto, portando immediatamente via calore dai chip stessi.
Il vapore prodotto con l'ebollizione sale fino alla superficie del liquido, che non riempie completamente il serbatoio. Sale in fase gassosa sino al coperchio del serbatoio stesso, dove incontra un ambiente più freddo e quindi
si condensa, tornando alla fase liquida e ricadendo verso la zona in cui sono immersi i server. Si tratta quindi di un
ciclo chiuso di raffreddamento in cui il refrigerante passa continuamente tra due fasi (liquido e vapore), pur restando sempre a temperature che non comportano un rischio di surriscaldamento per l'elettronica dei server.
Un sistema di raffreddamento a due fasi
è più efficiente rispetto a quelli monofase, già molto più diffusi, dove il fluido dielettrico in cui sono immersi i server
resta sempre in fase liquida perché ha un punto di ebollizione elevato. Il raffreddamento per cambio di fase permette di estrarre più calore a parità di dimensione del serbatoio, ed evita la necessità di raffreddare il fluido esternamente al serbatoio stesso per mantenerlo a basse temperature.
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