Bioplastica che si degrada in mare, lo studio giapponese

Un gruppo di ricerca giapponese ha realizzato un materiale biodegradabile per imballaggio che ha una resistenza meccanica simile alla plastica e resiste all'umidità.

Autore: Redazione ImpresaGreen

La plastica monouso inquina, sta danneggiando seriamente i mari e l'ambiente. Da tempo molti gruppi di ricerca e aziende stanno studiando strade per fare a meno della plastica, o per produrne versioni biodegradabili. Una delle idee più interessanti arriva dal Giappone, e in particolare dal Dipartimento di Chimica Applicata della Graduate School of Engineering dell'Università di Osaka.

Lì Raghav Soni, Taka-Aki Asoh e Hiroshi Uyama hanno condotto uno studio per la produzione di una membrana per imballaggio che si propone come potenziale sostituzione della plastica monouso. A tale proposito vale la pena ricordare che la cronaca si concentra quasi sempre sui sacchetti in plastica e sulle bottiglie per le bevande. Ogni giorno, tuttavia, si impiegano tonnellate di plastica per avvolgere milioni di bancali di merce destinata al trasporto.
Studi precedenti hanno tentato di replicare questo particolare tipo di plastica con i polisaccaridi. Il risultato non è stato apprezzabile perché non replicano la resistenza meccanica della plastica, e non denotano la resistenza all'umidità che è necessaria per proteggere le merci in caso di pioggia.

Nello studio "Cellulose nanofiber reinforced starch membrane with high mechanical strength and durability in water" i ricercatori giapponesi spiegano di avere creato una nuova membrana biodegradabile che potrebbe risolvere gli ostacoli riscontrati in precedenza. È realizzata impiegando amido rinforzato con nanofibre di cellulosa, che garantiscono sia un'adeguata resistenza meccanica sia la resistenza all'umidità. Il procedimento prevede di miscelare nanofibra di cellulosa ossidata con tre diversi tipi di amido modificato: amido idrossipropilico (HPS), amido acetilico (AS) e acetile ossidato (AOS).
Bioplastica realizzata con scarti di pesce e alghe rimpiazza i sacchetti monouso. Una studentessa inglese ha realizzato una biolpastica ecosostenibile usando scarti di pesce e alghe a chilometro zero. Quello che si ottiene è un materiale che ha una resistenza meccanica paragonabile a quella della plastica, e una buona resistenza all'umidità. Il segreto di questa membrana TCNF/HPS è che è in presenza di umidità riporta solo un ridotto gonfiore perché crea un legame emiacetale tra TCNF (TEMPO-oxidized cellulose nanofiber) e amido. I dati dimostrano che il materiale è adeguato per essere impiegato come potenziale sostituto dell'imballaggio di plastica petrolchimica. Che cosa dovesse accadere se questo materiale venisse disperso in mare? Si biodegraderebbe, con buona pace dell'ambiente marino.

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