Il cloud computing non è certo una novità. Nel dettaglio, il cloud pubblico ha conquistato da tempo moltissime aziende, come è dimostrato dal consolidamento della crescita dei grandi fornitori di servizi cloud su scala globale. Con il corollario della
proliferazione dei grandi data center sparsi un po’ dappertutto. E con l’altrettanto inevitabile corollario dei dubbi più o meno legittimi che da molte parti vengono ciclicamente sollevati sulla sostenibilità in chiave green di certe strutture sovradimensionate. Dove qui ci si riferisce in prima battuta ai
supposti notevoli consumi di energia per l’alimentazione e il raffreddamento delle installazioni dei più importanti provider di servizi di cloud pubblico, sicuramente di dimensioni infinitamente maggiori dei data center delle singole aziende, per quanto queste ultime possano essere grandi.
Indipendentemente dal fatto noto che
i grandi data center nascono sostenibili già in fase di nuova progettazione, come ormai accade da tempo,
la realtà, per quanto possa essere controintuitiva, è che i data center dei principali provider di cloud pubblico hanno un effetto positivo sul consumo di energia. E lo sono per il semplice motivo che
operano più o meno costantemente a una percentuale molto vicina al 100 per cento della capacità dei propri server, quando invece i server presenti nei data center delle aziende operano spesso non oltre il 10 per cento della loro potenza, anche quando sono virtualizzati.
È questa la principale ragione per la quale una
crescente migrazione dei carichi di lavoro aziendali sul cloud pubblico permette di consumare meno energia in generale, e la condivisione delle risorse con altri fa in modo che quelle non utilizzate vengano automaticamente allocate ad altri utenti del cloud provider,
avvicinandosi a quel 100 per cento di utilizzo che è la ragione della maggiore efficienza energetica dei server del cloud pubblico rispetto a quelli presenti on premise nell’azienda.
Ben venga quindi il cloud pubblico, e soprattutto lo s
postamento di una quantità sempre maggiore di carichi di lavoro dai data center on premise a quelli nella nuvola, secondo il modello del cloud ibrido che ha cominciato da tempo a prendere piede. Del resto, gli strumenti di orchestrazione non mancano.