Quest’anno segna il 57° anniversario dell’idea di
trarre energia dalle alghe. Era infatti il 1960 quando uscì l’articolo di Oswald e Golueke
“The Biological Transformation of Solar Energy" che trattava dell’utilizzo controllato del processo di fotosintesi delle specie algali per produrre biomassa da cui ricavare metano. Nel corso dei decenni la ricerca ha perseguito questo e altri filoni, concentrandosi alla metà degli anni ’90 sulla coltura di alghe
per estrarre l’olio che esse producono per immagazzinare energia. Una volta estratto, un processo non banale, l’olio viene sottoposto a trattamenti diversi secondo gli obiettivi che ci si prefiggono: se lo si transesterifica con il metilene si produce il cosiddetto
biodiesel, se invece lo si idrogenizza si produce l’HVO (Hydrotreated Vegetable Oil), che può essere utilizzato nei motori diesel e in quelli a turbina per uso aeronautico.
Tutti i processi coinvolti sono ormai maturi. Per fare un esempio
, l’idrogenazione di composti grassi o idrocarburi di bassa qualità per ottenere combustibili pregiati risale al 1913 ed è valso all’inventore, il chimico tedesco Friedrich Bergius, il premio Nobel nel 1931. Il problema è il costo, e in particolare quello dell’olio algale. Esistono diverse stime su quanto costi oggi un litro di olio da alghe. Tutte le stime però affermano che il costo deve scendere di almeno dieci volte per rendere il prodotto trasformato in combustibile competitivo con quello fossile.
Oggi la ricerca e la sperimentazione si concentra su quattro ambiti. Il primo è lo sforzo di ottimizzare al massimo
il processo di produzione, estrazione e raffinazione. Il secondo è la selezione di ceppi algali con caratteristiche tali da migliorare la produzione di alghe attraverso una coltivazione selettiva. Ad esempio si cercano di ottenere alghe con un numero di fotorecettori per la fotosintesi molto più basso di quello normale, in modo da evitare l’abbassamento drastico del rendimento della fotosintesi in presenza di molta luce.
Un terzo filone prevede la modifica del genoma algale inserendo o eliminando geni con l’obiettivo di produrre varianti specifiche con i tratti desiderati. L’approccio più radicale è quello perseguito dai laboratori e dalle aziende attive nella genetica sintetica,
che crea organismi nuovi assemblando da zero nuovi genomi. Proprio nel campo dei biocarburanti è in corso dal 2009 il più ambizioso progetto di questo tipo.
Exxon-Mobil finanzia Craig Venter (il decodificatore del genoma umano), il suo istituto di ricerca e la sua azienda Synthetic Genomics Inc., per realizzare interamente nuove specie di alghe ottimizzate per la produzione di olio.
Un quarto filone, infine, mira a sfruttare
le reazioni fisiologiche naturali delle alghe per indurle a comportamenti utili. Da tempo per esempio è noto che sotto stress le alghe si moltiplicano enormemente, oppure muoiono in massa, o ancora producono e/o secernono sostanze. Trovando un metodo per stressare, o meglio stimolare, in modo mirato le alghe le si può indurre a reazioni utili agli umani e persino non dannose per le alghe stesse.
Nella sessione
Algochimica: le applicazioni nel campo dell’energia, del trattamento dei rifiuti e oltre, nella seconda giornata di AquaFarm verranno presentati i risultati di tre progetti che si iscrivono in maggiore o minore misura nei filoni sopra descritti. Il progetto FUEL4ME, finanziato nell’ambito del Settimo Programma Quadro (FP7) della UE e presentato da Dorinde Kleinegris, coordinatrice del progetto, punta a ottimizzare il processo di produzione, estrazione e raffinazione dell’olio dalle alghe, rendendolo un processo il più possibile continuo per ridurne i costi.
La
professoressa Kleinegris ne presenterà i risultati fino ad oggi ottenuti, anche con il contributo di aziende ed università italiane. Il progetto BIOFAT, anch’esso finanziato dall’FP7, che sarà presentato da Natascia Biondi dell’Università di Firenze, e ha come obiettivo quello di selezionare ceppi ad alta produttività, produrli con processi altamente ottimizzati e scalare l’impianto dal livello sperimentale a quello commerciale (10 ettari di superfice). Infine, il nuovissimo
PHOTOFUEL, finanziato nell’ambito di Horizon2020, punta a trasferire un gene di una pianta e a modificare o inibire l’espressione di altri presenti naturalmente in alcune specie di alghe verdi e azzurre (cianobatteri), mettendole in grado di produrre idrocarburi o precursori degli stessi, e soprattutto di espellerli quando opportunamente stimolate (stress). In pratica
si vogliono trasformare le alghe e i cianobatteri in biocatalizzatori, mini-impianti chimici a ciclo continuo, che non devono essere raccolti (che equivale a ucciderli) e “spremuti” per ricavare olio, che poi va trattato chimicamente per essere utilizzato come combustibile. In questo modo si punta ad aumentare la produzione di materie utili senza incrementare quella di biomassa e a ridurne i costi di estrazione e di trasformazione.
Il progetto, presentato sempre da
Natascia Biondi, avrà termine nel 2020 ed è portato avanti da un gruppo accademico-industriale che comprende università anche italiane (Firenze), aziende chimiche (per esempio Neste Oil, finlandese, uno dei pionieri nell’HVO) e case automobilistiche (Volvo, Volkswagen, CRF). Queste ricerche sulle alghe per la produzione di combustibili hanno un valore per l’intero settore, ed oltre per il futuro dell’umanità: se l’aumento di produttività e la riduzione dei costi che si prefiggono verranno raggiunti, si otterranno grandi successi anche in altri campi, un primis quello alimentare.
Il programma delle conferenze di
AquaFarm 2017 è disponibile in costante aggiornamento nella sezione Programma del sito web
www.aquafarm.show.
La partecipazione è gratuita,
questo il link per il pre-accreditamento online. Sarà comunque possibile registrarsi anche in sede evento.