Moda etica: secondo rapporto Cikis 60% delle aziende italiane ha una percezione sbagliata del proprio impegno green

Secondo il report di Cikis diminuiscono le aziende di moda italiane che hanno raggiunto un livello avanzato di sostenibilità. Inoltre, il 22,1% sopravvaluta il proprio impegno green.

Autore: Redazione ImpresaGreen

e da un lato aumentano le aziende che investono in scelte green, dall’altro diminuiscono quelle che si trovano ad un livello avanzato di sostenibilità (-15,2% rispetto al 2021). Fare la raccolta differenziata e cambiare packaging non è più sufficiente: sono misure che, se non associate ad altri cambiamenti, hanno poco peso sull’impatto ambientale e sociale complessivo. Quali sono, dunque, le pratiche rilevanti in ambito sostenibilità per un brand di moda?
Lo spiega Cikis, società di consulenza milanese che aiuta le aziende e i brand della moda ad attuare strategie e piani operativi sostenibili, dopo aver elaborato il Report Moda e Sostenibilità 2022 in cui sono raccolti insight qualitativi e dati strutturati di 48 brand e 47 aziende della filiera, tutti italiani, con fatturato superiore a 1 milione di euro.
“Il primo dato che emerge è molto positivo – spiega Serena Moro, Founder di Cikis – secondo la nostra ricerca oggi in Italia il 99% delle aziende di moda investe in sostenibilità o ha intenzione di farlo, a conferma che una svolta green è sempre più richiesta e apprezzata: già l’anno scorso le aziende che investivano in sostenibilità erano l’89%, ben il 45% in più rispetto al 2020. È risultato, però, che il 60% delle aziende intervistate ha una percezione del proprio impegno green che non corrisponde puntualmente alla realtà”.

Quali sono le pratiche rilevanti?
Il settore moda, secondo le direttive di Fashion on Climate, deve agire in modo sistemico lungo l’intera supply chain. Inizia ad emergere, per esempio, una parziale consapevolezza sull’importanza della scelta dei materiali: il 48% delle aziende ha dichiarato di aver introdotto o incrementato l’utilizzo di materiali preferred, ovvero materiali a ridotto impatto ambientale o che tutelano i diritti sociali. Solo il 16,8% di queste, però, li ha integrati per più del 75% sulla collezione totale. Il 47,4%, invece, li ha introdotti per meno del 25%. Ancora poco sentita è l’importanza dell’economia circolare, citata come priorità solo dal 7,4% delle aziende. Ne sanno qualcosa Rifò, marchio di moda che trasforma i rifiuti in nuove risorse, e Sergio Rossi, brand che offre da anni un servizio di riparazione dei suoi articoli per prolungarne il ciclo di vita. Pochissime aziende (2%) investono in compensazione delle emissioni, ma, se si parla di tutela dei lavoratori e di welfare aziendale la sensibilità è in aumento: gli investimenti in ambito sociale nel mondo della moda salgono al 40%, con un incremento del 66,7% rispetto al 2021.

Rischio greenwashing: in aumento il numero di aziende che sopravvaluta il proprio impegno
Il livello di sostenibilità delle aziende è calcolato sia sulla quantità delle pratiche implementate, sia sulla rilevanza delle stesse. Dal report emerge che il 60% delle aziende intervistate ha una percezione sbagliata del proprio livello di sostenibilità: di queste, il 22,1% si sopravvaluta. Se l’autovalutazione media delle aziende di livello base sul proprio operato green l’anno scorso si attestava a 4,5 su 10, quest’anno è salita a 6 su 10. Per queste aziende, c’è un alto rischio greenwashing, dovuto alla sopravvalutazione della rilevanza delle pratiche implementate.
Un esempio virtuoso, invece, è rappresentato dalle grandi aziende, che registrano una maggiore percentuale di pratiche rilevanti. La ragione è semplice: per via di maggiori disponibilità finanziarie e di filiere molto più complesse, in queste aziende è presente un team dedicato alla transizione sostenibile, in grado di gestire un numero maggiore di pratiche sostenibili e con maggiore efficacia.

Investire in sostenibilità conviene?
Dal report di Cikis emerge che gli investimenti in sostenibilità non sono auspicabili solo per motivi etici, competitivi e di compliance, ma anche per motivi economici. Il 63% delle aziende ha dichiarato che le scelte green non sono state un costo, ma un investimento che ha generato un ritorno positivo. Di queste, inoltre, ben il 59% ha dichiarato di aver ottenuto il ritorno economico entro tre anni dall’implementazione delle nuove norme.
Un dato interessante è che la percentuale di aziende che dichiara un ritorno positivo aumenta drasticamente fra quelle che hanno scelto di rivolgersi ad esperti e consulenti di sostenibilità: avere accesso a competenze esterne permette alle aziende di ottenere con maggiore probabilità benefici economici o di immagine che superano l’investimento effettuato. Ben l’81% delle aziende che si sono affidate a consulenti esterni dichiara di aver ottenuto un ritorno positivo dell’investimento, ma non solo. Le stesse aziende riescono anche a raggiungere alti livelli di sostenibilità con maggiore facilità: solo il 16,3% delle aziende che si affida a consulenti specializzati si trova a un livello base.

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