Google Cloud: il green è una scelta ibrida

Per ridurre l'impatto ambientale dei data center servono tecnologie mirate nella gestione, approcci mirati ed un mix di rinnovabili a disposizione

Autore: Redazione ImpresaGreen

Nel grande dibattito sull'impatto ambientale degli hyperscaler, Google ha sempre mantenuto una posizione decisamente più propositiva della media del mercato. Si è data già da tempo obiettivi ambientali piuttosto ambiziosi. E poiché parliamo dell'azienda a cui fanno capo buona parte dei servizi digitali usati quotidianamente da imprese e singoli consumatori, i passi avanti fatti da Google contribuiscono indirettamente a ridurre l'impatto ambientale di tutta la nostra vita digitale.

Google assume quindi un doppio ruolo, dal punto di vista ambientale. Agisce in prima persona per ridurre i suoi consumi di energia e decarbonizzarsi, ma soprattutto si pone anche come esempio e stimolo per migliorare le politiche ambientali del resto delle imprese. "L'investimento di Google in energia pulita sta avendo impatti positivi su tutto il mercato europeo delle clean energy", spiega ad esempio Amanda Peterson Corio, Head of EMEA Data Center Energy per Google, stimando questi impatti in un giro di investimenti superiore a 2,3 miliardi di euro nello sviluppo di progetti e infrastrutture legati alle rinnovabili.

Ma Google è prima di tutto un produttore di tecnologie. E quelle che sviluppa per rendere i suoi data center meno "energivori" e il suo consumo di energia più green si possono condividere con altri. Un elemento ribadito da Peterson Corio, facendo ad esempio riferimento all'applicazione del machine learning nella gestione dei consumi energetici: "adottare un controllo dei consumi di energia attraverso machine learning migliora l'efficienza dei data center del 30%", sottolinea la responsabile Google.

Computing, ma non solo

L'approccio di Google ai temi ambientali è pragmaticamente a tutto tondo. Anche perché Big G sa meglio di molti altri che l'impatto ambientale dei data center non è solo legato al consumo dei singoli server. E infatti "Google ha data center più efficienti energicamente, del doppio rispetto alla media del settore, grazie in particolare ad una forte riduzione nel consumo delle facility, più che dei server", spiega Amanda Peterson Corio. Attenzione quindi a non demonizzare il computing in sé: nel suo Environmental Report 2020, Google stessa sottolinea che tra il 2010 e il 2018 il carico di elaborazione a livello globale dei data center è cresciuto del 550%, mentre il consumo dei data center solo del 6%. E i data center rappresentano ancora solo l'uno percento del consumo globale di elettricità, la stessa quota del 2010.
Questo non vuol dire che non si debba fare di tutto per migliorare, anche perché non c'è solo da ridurre i consumi energetici: bisogna anche azzerare le emissioni di CO2. Per raggiungere il principale obiettivo che Google si è data - essere la prima major company ad operare costantemente con energie ad emissioni zero - serve muoversi in varie direzioni e consolidare diversi passi intermedi.

Dal 2007 Google è carbon-neutral perché compensa tutte le emissioni che genera. Dal 2017 ha un bilancio zero fra energie fossili e rinnovabili perché per ogni MWh consumato ne acquista uno legato alle rinnovabili. Per andare oltre questi risultati Google deve superare un ostacolo ben noto: "Il carico di un data center è abbastanza costante - spiega Peterson Corio - mentre la produzione energetica delle fonti rinnovabili non lo è. La questione allora è allineare il carico con la disponibilità di energia pulita".

Da un anno circa Google sta per questo usando in alcuni data center la sua "carbon-intelligent computing platform", una piattaforma capace tra l'altro di spostare il momento di esecuzione di molti workload a quando sono più disponibili fonti energetiche a emissioni zero o rinnovabili. Non tutti i data center possono farlo, perché non tutti cono connessi a fonti rinnovabili, ma siamo sulla buona strada: Google stima che attualmente operi basandosi solo su energia pulita per il 61% della giornata tipo. Con picchi che arrivano al 70-80% in alcuni data center europei e al 80-90% in alcuni statunitensi.
"Per arrivare all'offset completo delle energie non pulite - spiega Amanda Peterson Corio - è necessario adottare un approccio ibrido, ossia usare una combinazione di energie rinnovabili". E, aggiungiamo noi, risolvere il problema dello stoccaggio. Un esempio viene dal funzionamento del data center che Google ha in Cile: in determinati periodi dell'anno la quantità di energia solare che il sito riceve dalla rete va ben oltre le necessità di consumo, nelle ore centrali del giorno. Se fosse possibile stoccarla, cancellerebbe la necessità di energie fossili e delle altre rinnovabili che il sito utilizza e sarebbe più che carbon-neutral. Per scenari come questo alcuni ipotizzano i data center al centro di smart microgrid locali, ma Amanda Peterson Corio frena gli entusiasmi: una soluzione del genere "non ha ancora senso per datacenter che devono avere una fonte di energia continua e stabile".

La scelta ai clienti

Google Cloud ha deciso di mettere a disposizione dei suoi clienti i dati sul tasso di decarbonizzazione delle sue Region. In sintesi, i clienti ora possono sapere la quota di energie carbon-free che un particolare data center usa su base oraria, insieme alla sua carbon-intensity misurata in CO2 equivalente emessa per kilowattora. L'idea è che la singola azienda cliente tenga conto di questi fattori nello scegliere dove collocare i suoi workload, insieme ovviamente ad altri parametri come la latenza trasmissiva ed il costo dei servizi. In questo modo un'azienda può definire policy cloud che le consentano di operare in maniera più sostenibile, affiancando gli sforzi che Google fa direttamente per rendere più green qualsiasi workload.

Qualche trucchetto per sfruttare al meglio queste nuove informazioni? Google consiglia innanzitutto di scegliere una Region a basse emissioni di carbonio per le nuove applicazioni. Le Region più green sono da preferire anche per l'esecuzione dei lavori in batch. Poiché questi possono essere pianificati in anticipo e di norma sentono molto meno il problema della latenza tra data center e utenti finali, per questi carichi una scelta più carbon-free non dovrebbe comportare alcuno svantaggio. Infine, si possono usare le policy di Google Cloud per circoscrivere le proprie risorse cloud ad una particolare Region o a un sottoinsieme di Region, preferendo le più virtuose.

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