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Riforma della PA, non è tutto oro quello che luccica

Brunetta soddisfatto dell'andamento del processo di riforma delle Pa. Ma non è tutto oro quello che luccica: l'analisi dei numeri dimostra che molto, troppo, rimane da fare.

Franco Cavalleri

Il ministro Renato Brunetta si dice soddisfatto di come sta procedendo il processo di riforma della Pubblica amministrazione. In particolare, a far sorridere il ministro sono i numeri del 2010 della Civit, la commissione da lui stesso istituita per supportare le Pa nel mettere mano ai progetti di riforma.
riforma-della-pa-non-e-tutto-oro-quello-che-luccic-1.jpgCome si può leggere nell'articolo di cronaca, in un anno di attività la Civit si è riunita 70 volte, ha approvato 14 delibere, ha risposto a 600 quesiti delle pubbliche amministrazioni. E ancora, ha gestito la formazione degli Organismi di autovalutazione (Oiv), che ad oggi sono 84, di cui 13 nei ministeri e gli altri in enti pubblici nazionali, ha esaminato 79 sistemi di valutazione delle performance, 71 piani della performance e 36 programmi della trasparenza e integrità inviati alle amministrazioni. Il sito della commissione, su cui si può consultare tutta la documentazione relativa all'attività svolta in questo primo anno, ha avuto 325 mila accessi, circa 1500 al giorno, e oltre un milione e mezzo di pagine visitate. Per quanto riguarda, invece, il mondo della Pa in generale, a 10 anni dall'avvio del primo piano nazionale di eGovernment sono stati attivati molti progetti volti a ammodernare la Pubblica Amministrazione. Anche in questi ultimi mesi, nonostante le limitate risorse finanziarie disponibili, la spinta all'innovazione non si è arrestata. Nel 2010 quasi il 75% degli Enti Locali ha un progetto di eGovernment attivo e più dell'85% intende avviarne nel 2011.
Tutto bene, dunque? Non proprio, come spesso succede, non è tutto oro quello che luccica. I numeri della Civit sono buoni, ma da un organismo che si rivolge all'immensa galassia della PA ci si poteva e doveva aspettare di più. Quattordici delibere sono pochine, per un anno di lavoro. Ancora meno sono i quesiti – 600 – presentati da enti pubblici: se pensiamo che solo i Comuni sono più di 8000, e poi ci sono Province, Regioni, Comunità Montane, decine di migliaia tra enti e società pubbliche o partecipate, ci rendiamo conto che solo una percentuale infinitesimale – da prefisso telefonico, si potrebbe dire – si è rivolta alla Commissione per avere supporto.
Lo stesso vale per la diffusione dei servizi di eGovernment, che non sembra avvenire al passo desiderato: tra i principali risultati di un'inchiesta dell'Osservatorio di eGovernment del Politecnico di Milano emerge come quasi la metà dei progetti di innovazione non raggiunga più del 25% degli obiettivi prefissati.
Questo grado di aleatorietà non aiuta la classe politica a interessarsi e supportare queste iniziative, così come non permette a cittadini e aziende di concedere la loro fiducia e il loro supporto. E come un cane che si morde la coda, la mancanza di commitment politico e di fiducia da parte di cittadini e aziende diventa la prima causa bloccante per un progetto di eGovernment, insieme a quella di fondi: risulta che solo il 18% delle iniziative di innovazione delle Province e il 16% di quelle dei Comuni è finanziata grazie ai propri fondi, contro quasi il 50% delle iniziative finanziate prevalentemente o solamente da fondi di enti terzi.
Questo si ripercuote a volte anche sul mantenimento del tempo delle soluzioni realizzate. Una volta cessati i finanziamenti, accade infatti che l'ente non destini più risorse per la manutenzione ordinaria ed evolutiva delle soluzioni realizzate, cosicché nel 40% dei casi la soluzione può lentamente ma inesorabilmente essere dismessa, possibilità che diventa quasi una certezza nel 22% del progetti realizzati in collaborazione con altri enti e nel 12% di quelli realizzati in autonomia.
Un modo di fare comune a tutti gli ambiti di intervento delle Pa, dove si privilegia l'emergenza rispetto alla gestione e molto spesso si preferisce lasciare degradare una situazione piuttosto che impegnare risorse finanziarie per gestirla – che sarebbero proprie – per arrivare al punto in cui serve un intervento in grande stile, straordinario – il cui finanziamento spetta ad organi superiori.



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Pubblicato il: 25/03/2011

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