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Copenhagen in 10 semplici domande

In dieci domande, tutto quanto avrestre voluto sapere su Copehnagen e la Conferenza sui Cambiamenti Climatici

Redazione GreenCity

1) Perché è così importante raggiungere un accordo a Copenhagen?
La quantità di gas serra (GHG) – di origine antropica ma non solo - nell'atmosfera ha raggiunto dimensioni pericolose per la continuità dell'equilibrio ambientale del pianeta. L'aumento della temperatura media, conseguenza principale del maggiore livello di GHG, ha modificato il ciclo dell'acqua, con periodi di siccità più lunghi e frequenti, ondate di calore e piogge più violente e distruttive. L'obiettivo di un accordo internazionale sui cambiamenti climatici è evitare una catastrofe climatica e ambientale e aiutare i paesi più vulnerabili ad adattarsi. La finestra a disposizione per una prima correzione di rotta verso un sistema economico meno basato sul carbonio – evitando in questo modo che i peggiori scenari disegnati dagli scienziati divengano realtà – non è ampia: la UN Climate Change Conference di Copenhagen marca il momento storico per l'umanità per affrontare la sfida ambientale ed economica..

2) Perché è così importante raggiungere un accordo quest'anno?

La prima fase dell'accordo, legalmente vincolante, che regola le emissioni di carbonio – il Protocollo di Kioto – finirà nel 2012. Serve un nuovo, ambizioso accordo, che si ponga come obiettivo di traghettare l'umanità verso un futuro più sostenibile (non dal punto di vista ambientale ma anche per tutto ciò che concerne gli aspetti sociali). L'accordo va raggiunto qest'anno, per dare modo ai singoli Paesi di avviare le rispettive pratiche di approvazione e ratifica, e prepararsi all'entrata in vigore delle nuove regole, nel 2012, appunto.

3) Cosa deve succedere a Copenhagen perché venga considerato un successo?
L'accordo che verrà firmato a Copenhagen non dovrà necessariamente essere la soluzione finale di tutti i problemi, dovrà però costituire il punto di partenza chiaro e concordato per i quattro punti che costituiscono l'ossatura delle discussioni: 1. determinare obiettivi di abbattimento delle emissioni che i paesi industrializzati siano in grado di raggiungere nel breve termine; 2. determinare le iniziative che i paesi in via di sviluppo possono intraprendere per limitare le loro emissioni di ghg; 3. istituire un sistema di finanziamento sicuro per consentire ai paesi in via di sviluppo di fare fronte alle sfide che li attendono; 4. indicare quali istituzioni dovranno farsi carico di agevolare la distribuzione e l'implementazione di tecnologie e risorse finanziarie in modo che paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo siano partner effettivi e a tutti gli effetti di un programma di innovazione del sistema economico globale.

4) Perché è appropriato parlare di un "accordo" a Copenhagen?

Una volta che i maggiori temi politici sono stati affrontati e sono state indicate le scadenze per il raggiungimento degli accordi legali, è possibile affrontare il nodo della forma legale da dare a questi accordi. Le proposte sul tavolo sono diverse: a) un emendamento al Protocollo di Kioto, b) un nuovo protocollo oppure c) un set di decisioni individuali su come affrontare i cambiamenti climatici, adesso ed più avanti dopo il 2012 (quando il nuovo accordo entrerà in vigore). Il risultato finale potrebbe anche essere un mix delle tre opzioni. Proprio l'incertezza sulla forma legale che verrà utilizzata fa sì che sia appropriato parlare di "accordo".

5) Quali sono i miglioramenti che Copenhagen può apportare al trattato firmato a Kioto?
Il Protocollo di Kioto era pensato come un primo, piccolo passo nella lotta ai cambiamenti climatici. Copenhagen deve rappresentare la risposta ambiziosa e politica a ciò che gli scienziati indicano come necessario. Il Protocollo di Kioto pone una responsabilità maggiore sulle spalle dei paesi industrializzati rispetto a quelli in via di sviluppo, in quanto la maggior parte delle emissioni di GHG provengono proprio da loro. Copenhagen, molto probabilmente, continuerà a chiedere il massimo impegno dai paesi industrializzati, ma contemporaneamente chiederà ai paesi in via di sviluppo di impegnarsi e contribuire a mantenere il livello globale di emissioni entro il valore indicato dagli scienziati.

6) I paesi in via di sviluppo dovranno accettare limiti alle emissioni a Copenhagen?

No, i paesi industrializzati non hanno intenzione di chiedere a quelli in via di sviluppo di accettare obiettivi di riduzione delle emissioni, i cosiddetti "caps". La comunità internazionale, quando ha disegnato un sistema di parametri per l'accordo sui cambiamenti climatici – due anni fa, a Bali – ha riconosciuto che i paesi industrializzati devono accettare obiettivi vincolanti, mentre a quelli in via di sviluppo è stato riconosciuto il diritto di sviluppare la loro economia, pur rimanendo in linea con i principi di uno sviluppo ambientalmente sostenibile. Per questo, dovranno dettagliare i loro rispettivi piani d'azione, ma riceveranno supporto finanziario e tecnologico dai paesi industrializzati.


7) Qual è la preoccupazione principale, per i paesi sviluppati e per quelli in via di sviluppo?
I paesi in via di sviluppo sono chiaramente disposti a contribuire agli sforzi di contenimento dei cambiamenti climatici, ma la loro preoccupazione principale è mantenere il diritto allo sviluppo economico e sociale e alla lotta contro la povertà. D'altro canto, le discussioni a Copenhagen verteranno anche sulle preoccupazioni, da parte dei paesi industrializzati, che gli obblighi – a loro carico - di riduzione delle emissioni di GHG si traducano in vantaggi competitivi per i produttori nei paesi del Terzo Mondo 8che non avranno gli stessi obblighi di contenimento delle emissioni). Qualunque accordo dovrà rispettare il principio di equità, riconoscendo diritti e doveri ad entrambe le parti.

8) Quale ruolo avranno i paesi in via di sviluppo nelle trattative per raggiungere un accordo?
I paesi in via di sviluppo rappresentano un fattore-chiave verso l'obiettivo di un accordo a Copenhagen. Secono la IEA, la domanda globale di energia creescerà del 55% entro il 2030. Nei prossimi venti anni, la costruzione di un'infrastruttura di forniture energetiche richiederà, globalmente, 26 milioni di miliardi di dollari USA. Metà di questi investimenti saranno nei paesi in via di sviluppo. Anche se i paesi industrializzati dovessero smettere di emettere GHG oggi, con il trend economico – e di aumento delle emissioni - previsto nei paesi in via di sviluppo sarebbe impossibile rimanere sotto la soglia dei 2C° indicata dagli scienziati come "linea del Po" nella lota ai cambiamenti climatici. Allo stesso tempo, sono proprio i paesi in via di sviluppo quelli più vulnerabili all'impatto dei cambiamenti climatici (e che quindi hanno più bisogno di risorse fiannziarie e tecniche per adattarsi).

9) Quali sono i costi previsti per finanziare lo sviluppo sostenibile nei paesi del Terzo Mondo? Chi dovrà pagare?

L'esatto ammontare da investire nei Paesi in via di sviluppo nei prossimi decenni, con l'obiettivo di aiutarli ad adattarsi ai cambiamenti nel clima e ridurre le emissioni di gas serra, è una cifra quanto mai mobile. Potrebbe essere nell'ordine di $250 miliardi nel 2020. Più importante del determinare l'importo esatto, però, è il dare forma e vita ad un sistema di raccolta di questi fondi. È chiaro che i costi sono destinati ad aumentare con il passare del tempo, e che spetterà alle casse pubbliche dei paesi industrializzati assumersi l'onere maggiore. Il tema principale rimane comunque quale forma dare a questo sistema di trsferimento di risorse finanziarie e tecnologiche da un gruppo di paesi all'altro, e fare in modo che anche i privati siano coinvolti e facciano la loro parte. Questo per evitare che discussioni su come e quanto trasferire, e a chi spetti pagare, si ripetano di anno in anno e finiscano per portare il sistema allo stallo (e l'ambiente allo sfascio).

10) L'attuale crisi economica rappresenta una minaccia per un accordo globale sui cambiamenti climatici?
Molti avvertimenti sono stati fatti riguardo il pericolo che l'attuale stagnazione (o recessione) economica possa comportare dei rischi per il raggiungimento di un accordo all'UNFCC. In realtà, paesi come la Cina e gli USA stanno dimostrando come, la crisi, possa rappresentare l'occasione e l'opportunità per introdurre cambiamenti di rotta singificativi e innovare alla radice il sistema economico. Per gli USA, il programma è investire $150 miliardi nei prossimi dieci anni nella creazione di 5 milioni di posti di lavoro "verdi". La Cina ha annunciato quest'anno un pacchetto di stimolo per l'economia del valore di $584 miliardi, per il 40% destinato all'efficienza energetica.

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Pubblicato il: 30/11/2009

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